IL NOSTRO MONDO AUTENTICO E QUELLO DELLA RETE
L’uso dei social network ha il merito di accorciare le distanze e velocizzare la comunicazione tra le persone. Ciascuno può interagire con chiunque nel mondo e accedere nello stesso istante alle stesse informazioni. In effetti la globalizzazione ha nel web il suo specifico paradigma. In questo periodo di confinamento sociale il Web è risultato particolarmente utile perché ha permesso di non sospendere del tutto i rapporti tra le persone e ha salvaguardato situazioni lavorative e di studio che altrimenti avrebbero potuto essere compromesse.
Nulla a che fare con l’abuso che, invece, è sintomo di una patologia da dipendenza. Essere dipendenti equivale a perdere la libertà. Il termine addiction (dal latino addictus = schiavo) rende molto bene questa dimensione e ne sottolinea il carattere morboso. I manuali di psichiatria lo definiscono Disturbo Dipendente da Internet. La patologia si manifesta allorquando il bisogno di essere connesso diventa compulsivo, incontrollabile e fine a sé stesso. Si trascorre un tempo sempre maggiore davanti al computer senza mai riuscire a raggiungere il livello di soddisfazione ricercato, non si riesce a farne a meno, il pensiero è polarizzato al momento in cui, finalmente, ci si potrà connettere, si sta male quando non lo si può fare. Non solo nel comportamento, anche nel cervello si riscontrano anomalie strutturali e funzionali simili a quelle identificate nelle dipendenze da sostanze.
Ma esistono alcune costanti nell’approccio comportamentale ad internet, strettamente connesse alla particolare tecnologia comunicativa connaturata alla rete, che vale la pena sottolineare anche se non definiscono necessariamente una situazione patologica. Vediamone alcune.
Essere o apparire Quando siamo connessi la parte di comunicazione non verbale, che rappresenta circa il 70% della intera comunicazione, fatta di ammiccamenti, posizioni del corpo, intonazioni della voce, sguardi furtivi, viene del tutto a mancare al punto che per esprimere qualche emozione siamo costretti a ricorrere alle faccine (“emoticon”). Nemmeno l’uso di mezzi visivi come foto o filmati, riesce a compensare questo limite: anch’essi rappresentano solo un simulacro privo di corporeità e e privo della dimensione tridimensionale che caratterizzano la realtà. La interfaccia virtuale della rete ci trasforma in tanti avatar incorporei, simulati e simulatori. Insomma, nell’eterno confronto tra l’essere e apparire è certamente il secondo che prevale quando ci addentriamo nel mondo impalpabile della rete.
Falsificazioni identitarie Se per esserci occorre apparire allora i nuovi media sono il palcoscenico ideale. Permettono di mettere in mostra tutto di noi stessi in una esibizione esasperata ed impudica di pensieri, umori, sentimenti, scelte esistenziali, una sorta di “mediatizzazione” della propria mente. La spinta è la ricerca della popolarità che si misura dai "like" che si ricevono e dai "followers" che si hanno. Si deve piacere al maggior numero di persone e, quindi, si deve offrire di sé l'immagine più intrigante, la migliore, quella che sia più gradita, emulata, invidiata. Ciò può spingere a creare, non sempre in maniera consapevole, identità illusorie, fasulle, fantasticate, artefatte. Una falsificazione che rischia, soprattutto in persone fragili, immature, con bassi livelli di autostima, di sostituire le parti più vere ed autentiche della propria personalità che rimangono nascoste nel “non detto”, “non pensato”, con diversi gradi di dissociazione tra quello che veramente siamo e quello che mostriamo di essere.
Valorizzazione mediatica del comportamento dell’idiota Il bisogno di apparire a tutti i costi, di attirare l’attenzione, di aumentare la popolarità diventa prioritario su tutto. Ogni mezzo è concesso per raggiungere questo fine anche l’uso di espressioni verbali volgari e offensive, l’esibizione di pensieri gretti ed egoistici, la magnificazione di istinti asociali, aggressivi e pregiudiziali, le manifestazioni di odio esplosivo, l’uso di volontari errori grammaticali e linguistici, non sempre artatamente preventivati. Rientrano in questa categoria i cosi detti “leoni da tastiera” bulletti insicuri e vili che, spesso nascosti dietro una falsa identità, insultano, vilipendono e diffamano chiunque esprima opinioni in dissenso, particolarmente in certe tipologie inadeguate di confronto politico. Il web diventa una arena dove hanno libera esibizione i comportamenti più gretti e primitivi, fuori dal controllo di quella parte più evoluta del cervello, che è propria degli esseri umani, che ci differenzia dagli animali e ci permette di riconoscere cosa è bene e cosa è male.
In somma, il mondo del WEB è certamente uno strumento sempre più rinnovato e fecondo al servizio della informazione e, talvolta, anche della conoscenza. Il suo abuso tuttavia, anche qualora non raggiungesse le vette di una patologia conclamata, può abituarci all'uso di atteggiamenti mentali che privilegiano la velocità del pensiero a scapito della sua profondità, con il rischio, non risibile, che vengano valorizzati gli aspetti più superficiali e meno autentici della nostra personalità rendendoci poco inclini all'uso della intelligenza speculativa.