Apoteosi dell'apatia, non è solo malessere
Mai come in questo periodo, costretti ad un confinamento domiciliare che sembra non avere mai fine, rischiamo di somigliare a tanti Homer Simpson. L’omino giallo dei fumetti che passa la vita sprofondato sul divano, il telecomando in una mano e la lattina di birra nell'altra o intento a frugare nel frigorifero alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti, poco sensibile a quanto gli succede intorno. Suscita ilarità questa immagine, ma è proprio la rappresentazione dell’apatia.
Il termine apatia, che letteralmente significa mancanza di passione si riferisce, primariamente, alla perdita della motivazione che spinge ad agire. Ne consegue riduzione del comportamento finalizzato e appiattimento emotivo. L’apatico non mostra interesse verso le persone e l’ambiente, appare svogliato, poco reattivo agli stimoli, senza obiettivi, senza emozioni.
Per la dottrina cristiana la mancanza di passioni (come l’eccesso d'altronde) rende l’uomo un cattivo cristiano perché lo priva della sua umanità. “Sciagurati che mai furono vivi” definisce Dante quei peccatori che, svuotata la loro vita di ogni passione, sprecano qualità e talenti e rinunciano alla loro creatività vitale. Tutt'altra concezione quella espressa dagli stoici per i quali l’indifferenza rispetto alle passioni umane ed agli avvenimenti del mondo era considerata una virtù concessa solo ai saggi, uno stato di perfezione contemplativa attraverso cui raggiungere la vera libertà, quella dello spirito. Non si discute qui su chi sia più vicino alla verità, se Dante o i filosofi greci, ma non si può non rilevare come il pensiero occidentale abbia messo in campo, sul terreno dell’apatia, due approcci che si fronteggiano in un eterno conflitto: da una parte il “dolce far niente” meditativo, dall'altra la “viziosa” noncuranza per la vita.
Psichiatri e psicologi, dal canto loro, concordano sul fatto che l’apatia non è una malattia a sé stante, ma può essere sintomo di differenti patologie non solo psichiatriche e neurologiche, ma anche metaboliche e ormonali. Per molti aspetti somiglia alla depressione di cui spesso è compagna. Ma la depressione produce sofferenza psichica, l’apatia indifferenza e noia.
Eppure, emuli degli antichi filosofi, l’apatia può offrire, a chi lo volesse, l’opportunità di una crescita personale. Se si è sordi agli stimoli esterni è più facile porsi in ascolto più intimo con sé stessi, con i propri sentimenti più profondi e le speranze che ci sostengono. Si può cercare di dare un nome alle cose che amiamo, di capire chi siamo veramente per ridefinirci come esseri umani e provare a riconciliarci con una vita più autentica, oggi troppo spesso al servizio di valori effimeri che ci sottraggono il senso stesso di vivere.
Infine non si può non riconoscere all'apatia anche una funzione di difesa e protezione della integrità della psiche di fronte a ciò che la psiche percepisce come pericolo. Si sa che avvenimenti dolorosi e oscuri, sia quelli immateriali del nostro inconscio, ma anche quelli reali (la pandemia che oggi viviamo per esempio) possono scatenare nella nostra mente reazioni più difficili da dominare, come paure incontrollabili e panico, che hanno conseguenze drammatiche per l’effetto contagio, la facile diffusibilità e l’intorpidimento della ragione che comportano. Orbene l’apatica indifferenza agli stimoli e l’ottundimento della emotività, possono placare l’intensità di passioni più estreme, ridurne la turbolenza e permettere alla ragione di non perdere del tutto il controllo evitando conseguenze assai più disfunzionali e dannose.
Eh già, noi esseri umani siamo fatti così: complicati, ma regolati da meccanismi che sono in grande armonia tra loro. E anche le cose che sembrano poco funzionali e fastidiose come l’apatia, hanno un loro preciso significato nell'equilibrio della nostra esistenza. Tutte le nostre funzioni, sia mentali che biologiche, integrate tra loro in un rapporto tutt'altro che gerarchico, possono essere considerate adattamenti naturali sviluppatisi nel corso del processo evolutivo per farci arrivare fin qui, fino a quello che oggi l’umanità rappresenta, nel bene, nel male, ma anche nei suoi aspetti più grotteschi così buffamente raffigurati in Homer Simpson.